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Martedì, 15 Gennaio 2019 12:48

Diritti umani: la società civile sale in cattedra

Per quanto la Commissione europea, da Bruxelles, avesse lanciato appelli, la conta dei 49 migranti della Sea Watch e della Sea Eye da ridistribuire nei singoli Paesi UE si inceppava continuamente: erano passati 18 giorni e i conti ancora non tornavano.

E intanto 49 persone – uomini, donne, bambini – continuavano a soffrire, anche se magari intanto ringraziavano Dio per essersi salvati dall’annegamento e ancor più di essere usciti vivi dagli orrori delle carceri libiche.

A Lampedusa il Parroco il giorno dell’Epifania aveva incoraggiato la società civile a non trincerarsi nella paura, ma a credere fermamente che legalità e carità non si possano contrapporre, perché sono valori provenienti da una stessa tradizione umana e cristiana. L’arcidiocesi agrigentina ha quindi affermato, in sintonia con il pressante magistero di papa Francesco, che “una comunità veramente europea sa vedere nei popoli che ci interpellano non un nemico da rifiutare ma un’opportunità per diventare più umana e più unita”: quasi a dire che lo sfaldamento dell’Unione Europea si supera solo con il recupero dei principi fondanti della “Comunità Europea”, ma superando la retorica dei valori attualmente taroccati dalle paure e dagli egoismi.

Il messaggio di don Carmelo mi ha fatto quindi tornare con la mente ai cinque giorni vissuti a Lampedusa l’anno scorso con i nostri studenti universitari della Lumsa di Palermo: studiando diritto, economia e scienze politiche, hanno voluto vedere da vicino una realtà che letta nei comunicati stampa dei politici e nelle infografiche dei giornali sembra dover far paura alle nuove generazioni. Ma a Lampedusa in quei giorni avevamo incontrato coloro che in prima persona accolgono i migranti, guardia costiera, operatori Caritas e primi fra tutti i Lampedusani, che hanno fatto e fanno della loro piccola e bellissima isola un faro di speranza: sono una vera Porta d’Europa, una piccola porta ospitale fra tanti muri di parole, invettive, polemiche e rimpallo di responsabilità.

Eravamo andati a Lampedusa dopo aver accolto in università un gruppo di migranti minori ospiti della case di accoglienza: gli studenti, insieme ai docenti, si erano entusiasmati a parlare loro della Costituzione italiana, dei diritti e doveri previsti dalla convivenza civile, degli adempimenti da assolvere per cercare lavoro e per seguire corsi di studio. Ma, soprattutto, quegli incontri erano stati segnati da tanta simpatia reciproca e dal desiderio di far sentire a quei ragazzi che siamo un popolo ospitale e siamo contenti di accoglierli. Per i nostri universitari era stata una piccola ma gioiosa risposta all’invito del Papa ad accogliere, proteggere, promuovere e integrare, e questa esperienza aveva fatto cadere pregiudizi e aveva fatto capire come la legge della solidarietà, che “pone in qualche modo sulla nostra anima il peso dei nostri fratelli, è una dolcissima legge, di fraternità umana e di figliolanza divina che tutti ci lega”, come aveva scritto la fondatrice della nostra università, Luigia Tincani.

A Lampedusa i nostri universitari hanno avuto la riprova che anche quando le istituzioni sembrano impotenti, la società civile sa mobilitarsi: così hanno potuto parlare ai giovani migranti, con gioiosa convinzione, di valori conquistati in Europa dopo tanti conflitti ed orrori, rimettendo al centro la persona umana.

Ma ogni volta, dopo vicende dolorose come quella dei 49 naufraghi sballottati dalle onde davanti a Malta per 18 giorni, tutti ci domandiamo quale legalità è possibile senza rispetto dei diritti umani. Così se davanti a ogni spiaggia e a ogni muro i migranti possono domandarsi dov’è l’Europa che hanno sognato, potrebbe sembrare amaramente ironico chiedere loro di frequentare minicorsi di formazione civica o sottoscrivere qualche “Carta dei valori della cittadinanza”.

Eppure, anche quando i diritti umani studiati nei libri o nelle dichiarazioni ufficiali sembrano utopie irrealizzabili, papa Francesco non cessa di far appello alla concretezza dell’impegno cristiano per superare la cultura dell’indifferenza che sta affogando i diritti umani nell’egoismo. Perché il richiamo al rispetto dei diritti umani è più che un’utopia, è lievito evangelico concretamente all’opera nel mondo: come a Lampedusa, come a Lesbo e in tanti luoghi dove i migranti, al di là delle barriere ideologiche o materiali, incontrano altri uomini, donne e bambini, faccia a faccia, accadono meraviglie. Così subito dopo lo sbarco a Malta concesso ai 49 migranti (di cui 10 sono stati accolti dalla Chiesa Valdese in Italia, senza oneri per lo Stato), nella notte tra il 9 e il 10 gennaio 51 curdi con un veloce passa parola sono stati salvati dalle onde dagli abitanti di Melissa (nel Crotonese), che hanno anche assicurato alla giustizia i due trafficanti. Legalità e diritti umani non si escludono, quando la persona umana è al centro.

E il 9 gennaio anche i cannoni della Valletta, a Malta, hanno sparato a salve, a mezzogiorno.
Pubblicato in IN DIALOGO

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